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architettura, pittura, scultura

LA TAVOLOZZA DI RAMIRO MENG

Seppia naturale
Blu oltremare
Verde cinabro scuro

Verde cinabro chiaro

Terra di Siena bruciata

Terra di Siena naturale

Giallo ocra

Giallo di cromo scuro

Giallo di cromo chiaro

Rosso veneziano
Rosso vermiglione

Rosso carminio

È fuor di dubbio che Ramiro Meng sia nato artista. La pittura all’acquerello è stata l’amore della sua vita, lo confermano l’intensa sua partecipazione alle mostre sindacali, alle Quadriennali di Roma, alla Biennale di Venezia degli anni Trenta, le personali che gli furono de- dicate nel tempo, e quella che oggi lo ricorda.

Nel 1943, a quasi cinquant’anni, Ramiro Meng individuava per l’evolversi della propria arte tre distinte fasi: “raffrontando i caratteri della mia evoluzione pittorica alla musica posso distinguere tre periodi: quello eroico, quello moderno che si accosta a Strauss ed a Debussy e quello idillico, l’attuale”6. In questa periodizzazione egli non teneva tuttavia in conto le sue prime prove, forse in quanto le percepiva ancora come embrionale ricerca di un proprio linguaggio espressivo.

I primi acquerelli noti di Ramiro Meng, datati alla seconda metà degli anni Venti, sono per lo più piccoli paesaggi e si caratterizzano per una costruzione a “macchie cromatiche e vaporose”, ancora debitrice in effetti di un’impostazione di stampo tradizionale ottocentesco. Alla fine degli anni Venti l’artista inizia a esporre queste prime opere nell’ambito delle mostre promosse in città dal Sindacato Fascista Belle Arti, attirando presto su di sé l’attenzione della critica: Manlio Malabotta in una recensione alla Sindacale del 1931 definisce i sei acquerelli presentati da Meng – tra cui Paese istriano e Impressione istriana – “studiati in profondità e di varietà cromatica”.

La vera svolta nel suo linguaggio pittorico avviene con i lavori dei primi anni Trenta, esposti alla personale dal titolo Paesaggi carsici, aperta alla Sala “Ierco” (o Jerco) in via Bellini (oggi via S. Spiridione) tra dicembre 1933 e gennaio 1934: quindici acquerelli in cui egli interpreta il soggetto carsico con un fare definito dalla critica coeva robusto e quasi monocromo, poco più che bianco e nero “dove il paesaggio era quasi dardeggiato in segni d’una scrittura nella luminosità accortamente spezzata del foglio bianco”. Questi acquerelli si distaccano nettamente dalla produzione precedente, dando l’avvio a un linguaggio che rimarrà sempre la cifra caratteristica di Meng e che sarà apprezzato dai contemporanei per la sua originalità.

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